Cultura e Società

Christian Frosio: intervista al cantautore bergamasco

Con “Il Diavolo e l’Acqua Santa”, Christian Frosio torna con un album che affonda le radici nell’urgenza espressiva. Interamente arrangiato dallo stesso cantautore bergamasco, il disco intreccia ballate intime e brani dal respiro più rock, componendo un racconto musicale che oscilla tra la sfera personale e quella collettiva.

Rispetto al debutto, centrato sulle domande interiori dell’esistenza, qui Frosio allarga lo sguardo e sceglie di confrontarsi con la realtà sociale, senza edulcorarla. Denuncia le derive comunicative del nostro tempo, il rischio di conformismo mediatico, e ribadisce la necessità di un’arte che continui a interrogare, a dissentire, a resistere.

Nell’intervista che segue, ci accompagna tra le immagini, i suoni e le idee che hanno dato forma a questo secondo lavoro.

“Il Diavolo e l’Acqua Santa” è un’immagine potente. Da dove nasce questo ossimoro?
Dal vissuto del brano stesso, che attraversa territori di luce e ombra. È un viaggio interiore che trova il suo punto di equilibrio e salvezza nel dedicarsi profondamente a qualcosa — per me, la creatività e la musica. Da lì, il titolo è diventato anche quello dell’album, che ha una doppia anima: una più intimista, legata alla dimensione personale, e una che guarda fuori, a un contesto sociale oggi poco rassicurante.

Nei testi si alternano metafore e visioni molto concrete. Come scegli il registro giusto?
Io scrivo in maniera molto naturale, in un flusso di coscienza. Poi vado a comporre il mosaico del testo andando a selezionare gli elementi secondo me più efficaci ai fini della canzone.

Hai una scrittura quasi cinematografica. Ti ispiri anche alla narrazione visiva?
Credo di essere molto visivo. Quando scrivo riporto le impressioni visive di ciò che vivo. Amo inoltre le colonne sonore e sono un amante del cinema (un pò di film al Dams Musica li ho visti). Pongo molta attenzione all’aspetto dell’arrangiamento che per me non è un semplice colore intorno alle parole e alla melodia, ma contribuisce al senso della canzone. In questo forse la mia scrittura è cinematografica. Restituisco in musica le immagini del testo.

Che rapporto hai con la poesia? Leggi o scrivi versi fuori dalla musica?
Leggo poesie e, in passato, ho ricercato i versi come forma di espressione alternativa alla musica, arrivando a partecipare ad alcuni concorsi letterari. In musica e nella canzone per me è fondamentale trovare un aspetto poetico, tranne alcune eccezioni di brani a sfondo sociale quali “Dimmi che c’è che non va” in cui ho usato un linguaggio più ironico e tagliente. Di certo non mi piace un linguaggio troppo concreto e ho sempre inteso la mia scrittura come avere solo le punte dei piedi a terra ma lo sguardo rivolto al cielo, per poter lasciare delle aperture di significati e spunti di indagine interiore.

Ti capita di partire da una sola immagine per costruire l’intera canzone?
Parto sicuramente da un elemento scatenante, che può essere un’immagine vissuta da cui scaturisce tutto il resto. Come nel testo così in musica: trovo un elemento in genere armonico, da cui estraggo la melodia e il resto, come fosse il filo da sbrogliare di Montale per dirla con un’estetica legata alla poesia.