Il 12 novembre è la data segnata: scatta l’obbligo di verifica dell’età per accedere ai contenuti per adulti. Una mossa pensata per proteggere, che, come spesso accade nella nostra frenetica corsa verso la “digitalizzazione di massa”, rischia di rivelarsi un boomerang pericoloso.
La scena che si prospetta è quasi cinematografica, un’istantanea perfetta della nostra alfabetizzazione digitale last-minute.
- Il blocco: Il minore, ignaro, sbatte contro il muro digitale e lancia l’SOS ai pari: “Ehi, succede anche a voi?”
- La soluzione lampo (e popolare): “Usa una VPN!” – Il sacro graal condiviso nei gruppi chat.
- L’ostacolo logistico: “Ma le VPN costano, come si fa?”
- Il consiglio fatale: “Usa questa VPN gratis……”
Quindici minuti dopo, il problema è risolto. I contenuti sono accessibili. Ma c’è un piccolo, invisibile, ma gravissimo dettaglio: ogni byte del loro traffico – e-mail, messaggi non crittografati, navigazione – sta sfrecciando sui server di un servizio gratuito. Un servizio che, non a caso, ha tutto l’interesse a fare di quel traffico esattamente ciò che vuole. E se, per pura coincidenza, dietro quella VPN gratuita si nascondesse un malintenzionato con un interesse specifico per i minori? Il sistema di “protezione” è diventato un’autostrada diretta verso l’esposizione.
La soluzione è palesemente sbagliata. È la classica toppa peggiore del buco che vuole coprire.
Genitori in Rete
La vera domanda che nessuno sembra porsi è: Perché sui dispositivi dei minori non è attivo un efficace sistema di Parental Control?
La risposta è ovvia quanto desolante: molti genitori non sanno che esiste, non sanno cos’è e non sono in grado di usarlo.
I dati, infatti, mostrano un quadro ambiguo: se da un lato l’82% dei genitori italiani è preoccupato per la sicurezza online dei figli, solo circa il 60% ha effettivamente installato un software di controllo parentale (dato che scende rapidamente con l’aumentare dell’età). Questa discrepanza tra preoccupazione percepita e azione concreta rivela il grande gap di competenza e fiducia. Molti ammettono che gli strumenti sono “troppo complicati” o pensano che i figli li aggirerebbero comunque, rinunciando alla prima forma di difesa.
Invece di imporre filtri esterni che vengono bypassati con un copia-incolla da un amico, si sarebbe dovuto investire massicciamente nella formazione digitale di genitori e insegnanti.
L’UE tra Deregolamentazione e Controllo
L’esempio della verifica dell’età non è l’unico caso in cui la legge interviene sul digitale con effetti collaterali complessi. Un esempio di portata ben maggiore è l’azione dell’Unione Europea che, attraverso il Digital Markets Act (DMA), ha obbligato colossi come Apple ad aprire i loro ecosistemi. Nello specifico, Apple deve consentire l’installazione di App Store alternativi al proprio e l’uso di sistemi di pagamento diversi, limitando il suo potere di “gatekeeper” (controllore del mercato).
L’obiettivo è nobile: promuovere la concorrenza e la libertà di scelta. La realtà è più sfumata: se da un lato gli sviluppatori e gli utenti ottengono nuove opportunità, l’apertura a marketplace non controllati da Apple introduce implicitamente maggiori rischi di sicurezza per il consumatore medio, esponendolo potenzialmente a un maggior numero di app malevole, frodi o malware, soprattutto per gli utenti meno esperti.
In entrambi i casi – il parental control eluso e gli store aperti – l’entusiasmo per la digitalizzazione e la regolamentazione normativa si scontra con la dura verità: la maggior parte delle persone, i non “nativi digitali” in particolare, non possiede gli strumenti, la consapevolezza o la formazione necessaria per gestire i problemi complessi che queste soluzioni (o forzature) generano. E i bambini sono in mezzo a questo scontro, in balia delle correnti.