Cultura e Società

Intervista a Marco Germani

Marco quando e come è nata l’esigenza di realizzare “Storing the past”?

Ho deciso di produrre un po’ di videoclip prima di distribuire in digitale il prossimo album semplicemente perché con il web è cambiato il modo di utilizzare i media, ormai è molto difficile che qualcuno ascolti un tuo album per intero, il videoclip su YouTube è invece più interessante e sullo smartphone riesce a catturare di più l’attenzione perché è un prodotto visivo. Il brano è strumentale e per renderlo interessante ho inserito dei dialoghi di famosi personaggi americani, ci voleva qualcosa di visivamente forte ed abbiamo pensato (io e la mia compagna che è la regista del video) a un essere strano, indefinibile. Non potendo contare su effetti speciali abbiamo utilizzato un po’ di trucco e una tuta per la disinfestazione, il risultato è simile ai protagonisti dei film di fantascienza anni ’70 e questo ci è piaciuto molto, allora gli abbiamo dato della strumentazione vintage: molti oggetti sono miei in quanto collezionista, altri sono stati prestati da amici e parenti. Abbiamo utilizzato la tecnica del green screen per inserire nei monitor a tubo catodico utilizzati dal protagonista i membri di Limbo Neutrale, con vestiti e atteggiamenti che rimandano in qualche modo ai personaggi dei dialoghi. Il montaggio è volutamente frenetico ed irregolare per dare un senso di straniamento.

Tu sei un chitarrista. Quanto è importante la tecnica nella produzione musicale?

Dipende da che tipologia di tecnica, ne esistono due tipologie: la tecnica strumentale e la tecnica di
registrazione e mixaggio. Sono entrambe fondamentali, proprio perché dagli anni ’80 quando produciamo abbiamo a che fare con delle macchine, quindi inevitabilmente bisogna essere estremamente precisi, avere un suono molto definito a fare attenzione a frequenze, dinamiche e ambienti. Ormai a livello “indipendente” con poco si può fare molto, ma non si può fare a caso ed in maniera raffazzonata, bisogna essere molto “quadrati” e stare dentro dei parametri digitali… questo ci rende molto simili al personaggio del nostro videoclip che archivia il passato in modo metodico.

Qual è il suono a te più affine?

Difficile dirlo, dipende molto dal contesto, ormai mi sono completamente convertito al digitale che penso abbia raggiunto il calore del vecchio analogico ma con più possibilità, chitarristicamente uso una piattaforma Helix della Line 6 e anche delle chitarre Variax che lavorano in sintesi digitale emulando altri strumenti, sia per le produzioni che per il live, per quanto riguarda lo studio utilizzo molte librerie della Native Instrument e di altre marche, pochi strumenti reali, proprio perché ciò che è sintetico è più facilmente manipolabile, tutti gli strumenti del videoclip sono stati realizzati con librerie tranne le chitarre ed il basso elettrico che ho suonati, i dialoghi li ho scaricati da YouTube.

Quali sono gli artisti che hanno maggiormente influito sulla tua personalità artistica?

Ce ne sono centinaia, io sono un grande ascoltatore, per questo brano direi molto Nine Inch Nails, Massive Attack, Marylin Manson, Prodigy, David Bowie, ma anche colonne sonore di film come Matrix, Strange Days e una caterva di videogiochi…

La tua fonte di ispirazione…

Nel caso specifico del videoclip direi i film di fantascienza, soprattutto quelli distopici e fantascientifici anni ’70: L’invasione degli ultracorpi, L’uomo che fuggì dal futuro, L’uomo che cadde sulla terra (con lo stesso Bowie), Star Wars, Rollerball, Il mondo dei robot…

Che differenza “emotiva” c’è nel suonare per una band e nel suonare per se stesso?

Suonare per se stessi è inutile, l’arte è una forma evoluta di linguaggio, quindi noi suoniamo per comunicare con gli altri esseri umani, diciamo che nel produrre si passano ore da soli e quindi bisogna stare attenti a non “perdersi” e ricordarsi che stiamo producendo qualcosa che va poi contestualizzato, quindi ad esempio è inutile fare un brano da 14 minuti per un video di YouTube a meno che non sia veramente ben pensato, o un album da due ore strumentale se non sei famoso e hai una fan base, mentre quando si suona con una band bisogna dare spazio a tutti ma soprattutto creare uno spettacolo che sia interessante per chi viene a sentirti e vederti. In linea di massima io tendo sempre a pensare a chi fruisce del mio lavoro e mi metto nei suoi panni.

Per affermarsi conta più il talento o lo studio?

Non può esistere l’uno senza l’altro, il talento lo scopri solo se studi e più studi più sviluppi il tuo talento, al giorno d’oggi non puoi andare in giro impreparato, sono convinto che il livello medio di autocritica si sia alzato parecchio infatti vedo giovani musicisti molto bravi e seri, purtroppo ci sono anche molte persone che vedono il suonare come una serata in amicizia, questo approccio non va assolutamente bene, suonare è una responsabilità.

Se dovessi trarre un bilancio, quali sono le tappe essenziali del tuo percorso?

Direi gli studi classici da bambino e a seguire quelli di musica moderna dopo le scuole superiori,
l’insegnamento e la scelta di fare musica di mestiere verso i 20 anni, le mie prime cover band e le prime
bozze di inediti fatti a casa con il computer, il primo centro musicale moderno aperto nel ’99, poi la struttura che dirigo da oltre 14 anni (After Life Music Dimension) che permette a persone diverse di sviluppare la propria passione e condividerla, infine la produzione di spettacoli, serate a tema e giovani artisti. Per il futuro prossimo spererei in una maggiore attenzione al lavoro svolto e al potermi dedicare maggiormente a Limbo Neutrale sia come progetto artistico, sia come band live e non ultimo la fortuna di poter condividere la mia passione con la mia compagna, cosa che reputo fondamentale come stimolo creativo e motivazionale. Grazie per il tempo che mi avete dedicato…